Di come Roberto e Andrea facendo il loro lavoro s’imbattono in un intrigo che li metterà in pericolo
CAPITOLO 1
Tutte le mattine si somigliano, ma ogni mattina a ben guardare è diversa dalle altre.
Roberto e Andrea arrivarono alla sede di PCMStudio entrambi a bordo delle proprie moto, entrambi con in testa la propria colonna sonora. Roberto era sulla sua Boneville rosso cherry e Andrea sulla sua Guzzi V7 nera o forse era il contrario. Ognuno dovrebbe avere la sua colonna sonora quando arriva al lavoro o nel corso della sua giornata, loro quella mattina avevano in testa lo stesso pezzo, House of the rising sun dei The Animals.
PCMStudio è una produzione multimediale, di cosa sia l’acronimo è un mistero che ancor oggi suscita curiosità. Nata come naturale evoluzione dell’amicizia tra i due fondatori, Andrea e Roberto, si è, nel tempo, allargata ad altre collaborazioni con vari professionisti del settore dell’audiovisivo. Lo stare sempre insieme li aveva portati a somigliarsi così tanto che tutti li scambiavano per fratelli, cioè tutti tranne i rispettivi genitori che invece sapevano che non era così.
La sede di PCM, chiamata anche la factory, era in un vecchia struttura industriale riqualificata che si trovava al limitare della città. Lo spazio era composto da un edificio centrale in mattoncini sviluppato su due piani, il piano alto era caratterizzato: da un lato da tre ampie finestre e dall’altro da un murales che la ristrutturazione, per loro volontà, aveva risparmiato e che diceva “Se avessi le ali volerei“ una concessione alla poesia dell’ovvio, l’aveva definita Andrea, una scelta di Andrea l’aveva definita Roberto. Accanto a questo, c’era una struttura più piccola che avevano trasformato in un garage abbastanza grande da accogliere le due moto e l’Enterprise, nome con il quale avevano battezzato il loro furgoncino T1 volkswagen, lo spazio veniva utilizzato anche come magazzino delle attrezzature di scena o come officina.
Al secondo piano dell’edificio centrale c’era un ampio open space con le postazioni di lavoro, la sala delle riunioni, un salottino con due divani che all’occasione servivano anche da giacigli e un bagno. Al piano di sotto invece c’era un ampio studio con il green già montato, una zona con cucina e bar, la sala dei cimeli dove tenevano principalmente i cimeli è un secondo bagno. Fuori c’era un ampio cortile, a un lato del quale c’era un gazebo con sotto un tavolo e delle sedie e isolato da una parte, come fosse lo scheletro di uno strano animale, un vecchio dolly.
Parcheggiate le moto, entrarono seguendo una partitura ormai consolidata, Andrea disattivò l’allarme, Roberto andò a preparare il caffè, passaggio imprescindibile prima di cominciare una giornata di lavoro. Andrea entrò nel magazzino accanto al limbo e ne uscì con due bottigliette d’acqua che poi si sarebbero portati alle postazioni. Roberto andò al tirassegno da cui staccò un mazzo di freccette e nell’attesa che il caffè uscisse, si sfidarono ad una svogliata partita senza alcun agonismo, mentre facevano il piano di lavoro della giornata.
Ad Andrea sarebbe toccato il lavoro di animation graphics su After Effects, il fatto che fosse fra i pochi che riuscivano a pronunciare il nome correttamente lo aveva automaticamente designato come AE manager. Roberto invece si sarebbe dedicato a quello che in quel momento era il loro lavoro più importante, una di quelle occasioni che permettono il salto. Si occupavano di gestire tutta la parte video della campagna elettorale per la carica di sindaco di Javier Donado.
Javier Donado era un ballerino e insegnante di tango con più di quindici milioni di follower su Instagram e altrettanti su Facebook, aveva inoltre un blog seguitissimo: “Spicchi di Tango“, dove mostrava come la cucina e il tango non fossero due cose poi così differenti, entrambi giocano sull’armonia dei contrasti.
Circa sei mesi prima Donado aveva deciso di candidarsi alla carica di sindaco infiammando di nuovo gli animi di una società civile disaffezionata alla politica. Questa disaffezione era facilmente riconducibile all’approvazione, in Parlamento, del Patto di Consuetudine, un accordo raggiunto da tutte le parti politiche in base al quale il peculato, la corruzione, l’abigeato o qualsiasi altro reato fiscale economico o contro il patrimonio che coinvolgesse la classe politica, se reiterato, secondo un principio di consuetudine, veniva depenalizzato.
Donado rappresentava il nuovo, quello che sarebbe potuto essere, era il simbolo di un cambiamento possibile.
Roby stava montando proprio uno dei passaggi del suo discorso di presentazione per la candidatura.
«Tratterò questa città come la donna con cui ballo, con amore e rispetto, la condurrò senza mai forzarla affinché giunga ad esprimere la sua bellezza e la sua sensualità» etc etc. Un discorso che continuava con questa metafora dell’azione politica come un’esibizione di tango e che entusiasmò tutti, giusto qualche detrattore trovò da ridire sul passaggio «amerò ogni sua curva», ma tutti impazzirono quando concluse «la renderò unica e immortale».
Il consenso nato intorno a questo discorso, unito a un totale disinteresse da parte della classe politica che oltre a considerare il tanguero innocuo si era proprio dimenticata delle elezioni, trasformò quella che sembrava una burla in una realtà. Donado era ormai il favorito e il movimento Tango per cambiare nato intorno alla sua discesa in campo, salì rapidamente nei sondaggi.
PCMStudio era riuscita a salire sul carrozzone grazie ad Igor, una loro vecchia conoscenza che lavorava alla Verba Volant, agenzia che si occupava della comunicazione della campagna.
La Verba Volant era stata creata solo cinque anni prima da Manila Forch e Rocco Mercadante, due enfant prodige che avevano unito le loro forze e in poco tempo erano diventati una delle realtà più influenti a livello nazionale. Era loro la tecnica della Fila, oggi un must per il lancio di una nuova attività commerciale, e utilizzata in particolare per la start up di bistrot, bakery, trattorie cool, gelaterie industry, rosticcerie concettuali e boutique osteria. Nei primi giorni di apertura si ingaggiavano comparse per creare fila fuori dal locale. Bastavano due o tre week end e poi era fatta, quel posto avrebbe avuto sempre fila anche se avesse servito fragole alla gricia.
Manila e Rocco avevano intuito il potenziale di Donado, si erano accaparrati la gestione della comunicazione e già si vedevano i primi risultati.
Lo stesso Igor aveva confidato ad Andrea e Roby che vedere lavorare insieme Manila e Rocco era un’esperienza unica e che era lieto di averli coinvolti. Dal canto loro Roby e Andrea non potevano che esserne contenti, al di là del compenso che era al di sopra delle aspettative, per loro era l’occasione per passare ad un livello successivo.
Salirono alle loro postazioni e si misero al lavoro. Continuarono a lavorare per gran parte della mattinata, senza parlare. Anche questa era la loro forza, potevano stare una giornata intera uno vicino all’altro senza scambiarsi una parola, cosa che ad Andrea riusciva solo con gli sconosciuti.
«Cazzo cazzo cazzo!» esordì Roby come recitasse una formula magica.
Andrea mollò quello a cui stava lavorando; stava creando un oggetto null a cui collegare alcuni livelli che avrebbe dovuto animare, si girò verso l’amico, temendo il peggio, pur ignorando il peggio di cosa.
«L’appuntamento con Raimo! La Calliope!» Gli disse questi quasi rimproverandolo.
«Non era mercoledì»
«Sì. Che è oggi»
«Allora cazzo cazzo cazzo!» esclamò Andrea guardando l’orologio.
«Tu come stai messo?» gli chiese Roberto.
«Sto lavorando con il null, vai tu?» rispose.
«Non posso» rispose Roby deciso.
«Perché?»
«Non ne ho voglia»
Di fronte a quella risposta definitiva Andrea si preparò e uscì.
Salì in moto, fece partire la musica, lasciò la frizione e via.
«Siri riproduci musica in ordine casuale» ordinò.
«Non trovo l’album “Musica in ordine casuale“» rispose con una celata ironia binaria.
«Siri musica in ordine casuale non è un album e lo sai!»
«Non ho trovato “Musica in ordine casuale“ fra i tuoi brani»
Si divertiva la bastarda.
«Siri vaffanculo!» poche persone lo indispettivano quanto Lei.
«Non credo di meritare questo trattamento» rispose con quel suo tono di falsa accondiscendenza
«Un po’ si invece! Siri fammi ascoltare Califano»
«Riproduco playlist Califano» rispose domata.
Niente da fare con il Califfo anche la femmina binaria crolla.
Io nun piango pe’ quarcuno che more,
non l’ho fatto manco pe ‘n genitore
che morenno m’ha ‘nsegnato a pensare
Il poeta trucido romanesco riusciva a parlare con sensibilità e schiettezza alla sua anima coatta, quella che seguiva con trasporto le gesta di Jack Bauer, che si gasava per l’estetica kitch di Spartacus o che rivedeva in loop su youtube il momento in cui l’ispanico svela di essere Massimo Decimo Meridio, comandante dell’esercito del nord, generale delle legioni Felix e compagnia bella. La stessa anima coatta che in quel momento aveva lanciato la moto e cantava con trasporto emotivo:
Io piango, quando casco nello sguardo
de’ ’n cane vagabondo perché
ce somijamo i modo assurdo,
semo due soli al monno
La strada cazzo!
Inchiodò scodando leggermente.
Aveva lisciato il bivio per il bar ed era in ritardo. Tornò indietro per prendere la strada giusta. Inchiodò di nuovo. È quella giusta o è semplicemente quella che conosco? Si chiese. Conosciamo solo ciò che riconosciamo aveva detto qualcuno. Se invece avesse dovuto prendere l’altra? Quella che sembrava sbagliata? Fece inversione e diede gas lanciato verso l’ignoto. Inchiodò una terza volta facendo fischiare le gomme. Ma il fatto che mi sia accorto che stavo sbagliando strada, anche quello vuol dir qualcosa. E se invece mi stessi sabotando arrivando tardi all’appuntamento? Se la strada giusta fosse semplicemente quella giusta? Fra le tante domande che si accalcavano nella sua testa, da fuori ne giunse una più nitida e ferma.
«Aoh maschio che dovemo fa?!»
Arrivò con 15 minuti di ritardo, Raimondo, Raimo per gli amici, art director della Calliope, era già seduto al tavolino. La Calliope era un’agenzia di comunicazione con cui collaboravano ormai da diverso tempo, con Raimo solo da un paio di anni.
Si scusò per averlo fatto aspettare e per un attimo fu tentato di raccontargli la storia del bivio, ma la lucidità ebbe la meglio, semplicemente si accomodò. L’incontro non sarebbe durato molto, c’era solo da fare il punto sugli ultimi ritocchi, Raimo ci teneva a farlo di persona perché le mail sono così fredde.
«Non hanno odore. Non credi?» Gli aveva detto.
«Scherzi? Noi pure se possiamo le evitiamo proprio per questa cosa dell’odore» aveva confermato Andrea.
Ordinò un caffè al ginseng e un cornetto vegano per Raimo e un cappuccino e un occhio di bue per lui, metà frolla e metà cioccolato.
«Va tutto bene» concluse l’art director alzando gli occhi da alcune immagini che scorreva sul tablet «mi sembra un ottimo lavoro, guarda forse giusto il font»
«Il font è quello che ci avete dato voi» precisò Andrea
«No certo, è che io mi affido molto alle sensazioni, devo sentire il giusto vibe. Non pensi anche tu che questo font abbia non so…sembra vibrare ad una frequenza troppo intima, non credi?»
«Beh si con Roby ce n’eravamo accorti, mi ricordo che Roby mi ha proprio detto: ma questo font non ti sembra che vibri ad una frequenza…? Ma io ho pensato magari è proprio quello che vogliono. Stabilire una sottile intimità con l’utente, vogliono che il loro non venga percepito come un messaggio, ma come una confidenza»
Raimo lo guardò estasiato di fronte a quell’epifania.
«Una confidenza, mi piace» disse poi «crea un rapporto diretto, di fiducia»
«Esatto! A me sembra un font di cui ci si può fidare» sorrise Andrea.
Raimo alzò il pollice verso l’alto «Mi hai convinto» e tornò a studiare il materiale.
Eccola! Andrea la vide entrare nel bar e si accorse che una parte di lui la stava aspettando, era con due amiche, due ancelle a giudicare da come si relazionavano a lei. Lavoravano tutte nel call center che stava di fronte al bar. Quel call center stava al maschio medio ormodotato come la fabbrica di Willy Wonka a un bambino goloso. Lei in particolare avrà avuto poco più di vent’anni e un corpo che prometteva cose che non avrebbe mai potuto mantenere. Non sapeva il suo nome, ma conosceva i suoi orari, i suoi colleghi più cari, ogni capo del suo outfit. Gli piaceva il modo in cui stava seduta con la schiena dritta da educazione vittoriana. La risata era aperta ma al tempo stesso pudica. Si muoveva da protagonista, fingendo che questo non fosse realmente importante. A volte si scopriva a fissarla, fino a diventare spudorato.
«Senti Andrea ma questo blu?» chiese Raimo guardando una piccola animazione sul tablet
«Questo blu?» chiese tornando alla realtà.
«Non mi convince » concluse deciso.
«Cioè? » Andrea girò il tablet per vedere cosa avesse quel blu che non andava.
«Non lo so…e che…» Raimo si fermò per cercare le parole giuste «mi piacerebbe un blu più… più spettinato» strofinò le dita fra loro come se fossero appiccicose e le volesse pulire.
«Ah certo, ho capito che intendi» confermò Andrea «lo vuoi più irriverente?»
«M’hai letto nel pensiero» Raimo era fiero oltre che contento di questa loro intesa.
L’art director continuò a studiare il materiale lasciando modo ad Andrea di fuggire di nuovo nel luogo abitato dalla giovane ninfa, il luogo della non responsabilità. Aveva ordinato come al solito latte macchiato tiepido e sfoglia di mele. Un collega le raggiunse e cominciò a farle ridere, ormai Andrea conosceva quelli che le stavano simpatici e quelli che teneva semplicemente al guinzaglio.
«Di’ un po’ per quando me le puoi dare queste modifiche?»
La domanda di Raimo lo strappò definitivamente da quella malia.
«Per quando ti servono?»
«Per ieri» disse questi tra l’autoritario e il giocoso.
«E allora per ieri le avrai» disse lui con un tono identicamente miscelato.
Mentre Raimo raccoglieva le cose, Andrea si alzò e andò a pagare. Passando vicino alla fanciulla un soffio di vaniglia lo raggiunse, poteva provenire da lei come dalle pasticceria esposta, entrambe molto appetitose.
Roby alla factory stava viaggiando bene, gli avevano chiesto 45 secondi di Donado in varie situazioni pubbliche, aveva fatto la prima stesura, ora c’era da fare un secondo giro per rifinire e dare ritmo. Già nella messa in fila, allineando in timeline tutte le clip che avrebbe utilizzato, aveva avuto una strana sensazione di fastidio, come un salto di fotogramma, un qualcosa che il suo inconscio aveva registrato, ma tenuto per sé.
Fece il secondo passaggio scorrendo lentamente la timeline e di nuovo una dissonanza, qualcosa che non tornava, come una mucca adagiata su un letto. Tornò indietro e guardò con più attenzione. Di nuovo e poi di nuovo. Il suo inconscio decise di comunicarlo alla ragione e lo fece con una scossa che Roberto avvertì lungo la schiena. Cominciò a sudare e si sentì come quando indossava una camicia 79% poliestere.
Il rumore della moto di Andrea che entrava nel deposito lo distrasse.
Gli andò incontro per mettere un po’ di distanza rispetto a quello che aveva visto così da tornarci poi con nuova lucidità.
Scese le scale.
«Allora? Come è andata?» chiese all’amico appena entrato.
«Tutto a posto» rispose questi posando sul divanetto della sala la borsa che aveva sempre con sé «va tutto bene, a parte il colore delle grafiche»
«Ce l’hanno date loro»
«Lo so ma effettivamente il blu è un po’ troppo pettinato»
«Troppo che?»
«Niente» liquidò Andrea «Indovina chi c’era al bar?» chiese poi.
«Raimo?» rispose Roby tornando sù e sedendosi alla sua postazione
«Sei scemo sei! La ninfetta.»
«Beh prevedibile, lavora lì di fronte. Dichiarati!»
«A parte che c’avrà 25 anni, non ti dico che m’arrestano, ma due sganassoni il brigadiere me li dà, e poi la mia infedeltà non sconfina mai nella realtà»
Era un monogamo seriale, e non per banale moralismo, aveva solo fatto tesoro dell’esperienza. All’inizio è una figata la scoperta, il mistero, il tuo repertorio di battute è ancora tutto da giocare, poi improvvisamente cominciano i déjavù, ti ritrovi a cercare le stesse scuse e finalmente capisci che è inutile sperare che sia diverso, perché tutto si ripeterà identico finché uno dei due della coppia sarai tu.
Salì anche lui e andò alla sua postazione.
«Vieni un attimo» Roberto gli fece segno di avvicinarsi e gli indicò il monitor. «Dimmi che vedi» Selezionò il punto in questione e andò avanti e indietro più volte. Si girò verso Andrea per vedere la reazione, ma niente. Di nuovo, play, stop rewind, stop, play.
«Allora?»
«Cosa?»
«Che vedi?»
«Donado che firma un documento in due momenti diversi, qui ha una cravatta blu e qui, si effettivamente questa cravatta ruggine è un po’ un azzardo, ma non è male» si rivolse all’amico per capire se era questa la risposta che si aspettava.
«Ma chi cazzo l’ha vista la cravatta»
Andrea guardò attentamente, ma se non sai cosa cercare, guardare attentamente si traduce solo nell’aggrottare la fronte.
«Oh allora non ho capito. Ma se me lo dici tu ci squalificano?»
Roby avanzò fotogramma per fotogramma e con un dito indicò prima un’inquadratura poi l’altra.
Andrea capì, un brivido gli attraversò la schiena, cominciò a sudare, si sentì come se indossasse la camicia 79% poliestere di Roby.
«La firma» lo disse senza neanche rendersene conto, Roby lo guardò confermando quel timore.
«Qui, sei mesi fa, firmava con la sinistra e in questo, tre giorni fa, firma con la destra» tornò a guardare l’amico «Sai cosa significa questo?»
«Che uno dei due non è il vero Donado» rispose incredulo Andrea «Come “Intrigo a Stoccolma“, ti ricordi? Il professor Stratman! Paul Newman se ne accorge proprio così. Lo hanno sostituito!» continuò.
«Il Donado della prima clip e quello della seconda clip non sono la stessa persona» specificò Roby
«Sì, é questo che significa “lo hanno sostituito”… » fece notare Andrea, lasciando che quell’ultima affermazione galleggiasse sul silenzio calato fra i due.
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